Vagoni rosa, Squartatori e segregazione di genere

Vagoni rosa, Squartatori e segregazione di genere

Partiamo da lontano (ma non troppo).

Siamo nello Yorkshire, nord ovest del Regno Unito. Un luogo un po’ da fiaba, sperso tra le distese erbose di un verde scintillante e la costa che affaccia sul freddo mare del Nord.

E come in tutte le fiabe che si rispettino ecco che abbiamo anche l’orco cattivo. Nell’Ottobre del 1975 muore Wilma McCann: qualcuno le ha dato una martellata sulla testa e poi l’ha pugnala quindici volte.

Il colpevole è Peter Sutcliffe, trentenne figlio di famiglia cattolica e di classe lavoratrice medio-bassa, che lascia la scuola a 15 anni per svolgere i lavori più umili. Assiduo frequentatore di prostitute, non ha mai soldi per pagarle e pertanto ne nascono furiose discussioni, che forse alimentano la sua ossessione contro le donne. Anche se lui sosterrà fino alla fine che è stato Dio a guidarlo.

Il problema è che Peter Sutcliffe verrà acciuffato soltanto nel 1981 e nel frattempo riuscirà ad uccidere altre 12 donne (13 con la povera Wilma), la più giovane avrà solo 14 anni. Sempre con la stessa cruda modalità. La polizia dello Yorkshire ce la metterà tutta: impiegherà sul caso 150 poliziotti e terrà ben 100mila interrogatori ma niente. A lungo, troppo a lungo, brancolerà nel buio e nell’ombra de Lo Squartatore dello Yorkshire. I giornali impazzano, la gente ha paura.

Non cavando il proverbiale ragno dal buco, in realtà manco trovando il buco, la polizia del West Yorkshire ha la geniale idea, quella più ovvia e più semplice: un coprifuoco per le donne. Tutte le donne non possono uscire dopo il tramonto a meno che non siano accompagnate da un parente o affine. (Nella speranza che non sia lui lo Squartatore o qualche parente o affine di un’altra donna, tanto per dire)

Le donne insorgono. “Perché dobbiamo stare noi chiuse in casa visto che l’assassino è sicuramente un uomo? Metteteci gli uomini in casa dopo il tramonto. D’accordo: se stiamo in casa noi sicuramente non ci saranno vittime, però non ci saranno nemmeno se staranno in casa gli uomini. E in questo secondo caso di sicuro anche il colpevole starà quantomeno recluso mentre se chiudete in casa noi lui se ne andrà in giro a fare la sua bella vita tranquillo mentre noi saremo di fatto in prigione anche se non abbiamo fatto nulla. E per chissà quanto tempo.” Moltissime donne rifiutano di obbedire. La rivoluzione del ’68 è appena avvenuta, gli anni ’70 sono nel pieno del fermento femminista. Moltissime donne non rispetteranno il coprifuoco: preferendo la libertà anche a dispetto della paura. “La notte appartiene anche a noi donne”. Così come i treni, aggiungerei.

Pare ovvio ora dove io voglia andare a parare.

Nel 1975 –> dopo il tramonto chiudere in casa gli uomini

Nel 2023 –> dopo il tramonto fate il vagone blu sorvegliato per gli uomini

Il vagone rosa, nato sicuramente da buone intenzioni, non è altro che una limitazione per le donne. Una discriminazione, là dove per discriminazione si intende disparità di trattamento. Come se non ne avessimo abbastanza già normalmente. Eppure io-donna come essere umano ho diritto di viaggiare quando voglio, come cittadina ho diritto ad accedere a tutte le strutture che voglio. Non voglio un vagone rosa, una cuccetta dedicata, dove vengo sorvegliata perché forse potrei essere vittima di un maniaco. Perché almeno nello Yorkshire un criminale in giro c’era, mentre qui si tratta di limitare le donne per la pura ipotesi che potrebbero o non potrebbero incappare in un maniaco. E sicuramente io non sono il maniaco, fermo restando di imputare gli assalti sessuali sui treni ai soli uomini, altrimenti la faccenda perde ancor più di senso.

Mi rendo conto che non è un gran costo sedersi in un vagone dedicato. Magari mi fanno anche lo sconto sul biglietto, magari davvero avrò l’illusione di sentirmi più sicura. Ma comunque pagherò un prezzo, seppur piccolo, in termini di libertà che nessun uomo dovrà mai pagare. Si darà il via a “metodi di protezione” che non sapremo dove andranno a finire? Magari davvero al coprifuoco come nello Yorkshire in casi di quartieri o città particolarmente violente dopo il tramonto.

È un prezzo che siamo disposte a pagare? Io no. Siamo sicure che abbia davvero logica? Perché scommetto che quando capovolgo i soggetti, cioè proponendo un vagone blu o un coprifuoco agli uomini, l’idea stride, suona assurda, limitante, inutile. Pare un po’ – pardon – una stronzata. Perché lo è.

La cosa diventa ancora più grottesca se si pensa che i “treni rosa” esistono già. Innanzitutto nel presente. Fanno parte di campagne informative relative al tumore al seno, qualcosa di cui sicuramente le donne dovrebbero liberarsi: forma di cancro la più frequente nella popolazione femminile e obiettivo primo della ricerca intorno alla salute delle donne.

E poi nel passato. La locuzione “treno rosa” è stata usata in diversi Paesi e lingue differenti negli anni ’50 e ’60: indicavano l’abitudine delle donne lesbiche di incontrarsi e socializzare in libertà durante un periodo storico dove non venivano poi tanto accettate. Certo erano frutto e una risposta alla discriminazione ma anche un passaggio fondamentale e volontario nella lotta al libertà di scelta sessuale. Sui quei treni non venivano nascoste, anzi erano ben visibili. Una scelta che, con tutti i suoi limiti, oggi appartiene alla storia di diverse comunità Lgbtq+ nel mondo.

Ora si vuole creare un vagone rosa che, con il nobile intento di proteggere, di fatto separa le donne, scaricando l’onera della sicurezza sulle vittime, come sempre. E se non mi siedo nel vagone rosa e mi succede qualcosa? Me la sono cercata? Domande e reazioni sociali (e giuridiche) in cui preferisco non avventurarmi ma la storia degli stupri e degli abusi sessuali non è dalla parte delle donne, delle vittime, ricordiamocelo.

Il vagone è una risposta semplice che può creare danni complessi. Sarebbe forse meglio invece predisporre maggiori controlli. Soprattutto insegnare agli uomini, meglio: alle persone di qualsiasi genere e orientamento sessuale, che le donne non sono oggetti ad uso e consumo delle perversioni personali e delle fantasie masturbatorie di qualsiasi sconosciuto che cammini che per strada. O sui treni.

Non abbiamo bisogno di un vagone rosa ma di città “colorate” di rosa.

Metafora di una società dove le donne non sono più il sesso debole, oggetti tout court a rischio di abusi e quindi potenziali vittime h24 da proteggere (anche contro i loro stessi diritti).

Io pretendo una società rosa dove le donne siano davvero protagoniste in ogni aspetto della comunità.

[Peter Sutcliffe si dichiarò non colpevole per infermità mentale. Tesi rifiutata dal giudice che lo mandò a processo. Venne condannato per tutti e 13 gli omicidi, con una pena minima di 30 anni. Nel 2010 la sua pena viene estesa in ergastolo presso l’ospedale criminale. Muore del 2021 per Covid. Negazionista, rifiuta le cure e viene colpito da infarto fulminante all’età di 74 anni. Non è mai uscito in libertà.]

di Alice Porta

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