Lavoro e maternità, il costo di essere madre
In teoria è semplice. Quando aspetti un bambino e sei una lavoratrice dipendente ti spetta il congedo maternità. L’indennità di maternità copre l’80% del tuo stipendio ed è a carico dell’Inps. Molti contratti poi prevedono un’integrazione del restante 20% a carico del datore di lavoro. In pratica è un pasticcio. L’indennità di maternità è di fatto anticipata al 100% dal datore di lavoro e successivamente rimborsata allo stesso tramite credito di imposta, cioè quando il datore paga i contributi all’erario dello Stato. In soldoni il datore di lavoro deve avere la liquidità in tasca per pagare la maternità al momento in cui si presenta la comunicazione da parte della dipendente. E’ quindi sbagliato sostenere che la dipende-madre costa al datore di lavoro, poiché paga lo Stato. Di sicuro però richiede uno sforzo di impresa immediato che può essere notevole.
I costi
La maternità ha poi dei costi indiretti e accessori. Quando la dipendente comunica lo stato di gravidanza, il datore di lavoro deve prevedere un* sostitut* che prima di subentrare durante il congedo farà un periodo di affiancamento con la dipendente, questo per garantire continuità al lavoro. C’è quindi un periodo ben più lungo in cui gli stipendi da pagare sono due. Va detto che per le aziende sotto i 20 dipendenti, la nuova assunzione gode del 50% di sgravio fiscale. La dipendente ora anche madre ha poi diritto a due ore di allattamento al giorno: anche queste anticipate totalmente dal datore di lavoro e poi rimborsate; così come una serie di permessi fino agli 8 anni del bambino, in caso di malattia per esempio. Si stima che nei primi 3 anni di vita del piccolo sia in effetti difficile garantire una certa continuità lavorativa da parte della dipendente e lo sforzo organizzativo per coprire i vuoti è a carico dell’azienda.
Le soluzioni
Costo e continuità sono le due parole al centro del nodo maternità-lavoro. Il costo vivo è minimo (in questo link il calcolo preciso), non è tutto a carico del datore e non tutte le imprese hanno ragione di lamentarsi. Le maggiori difficoltà riguardano le imprese più piccole. Con meno liquidità immediata per coprire i costi e più difficoltà organizzative. Una soluzione potrebbe essere l’accollo diretto al 100% dell’indennità di maternità da parte dello Stato, senza passare da un anticipo da parte del datore di lavoro. Per esempio mediante la fiscalità generale, cioè la maternità la paghiamo tutti in modo proporzionale alle donne assunte a tempo indeterminato. In quanto parte di una comunità che trae beneficio, economico e culturale, dai nuovi nati e come cittadini di uno Stato che ha l’obbligo Costituzionale di proteggere le categorie più fragili. Questa soluzione abbatterebbe il rischio della maternità e incentiverebbe l’assunzione a tempo indeterminato di donne. Senza contare il plus etico-civile che male non ci fa.
Essere lavoratrici e madri
La maternità è uno dei motivi dell’alta disoccupazione femminile. È ciò che porta comportamenti illeciti (e non giustificabili) da parte delle aziende, come chiedere ad una donna in fase di colloquio se intende restare incinta o i casi di mobbing di rientro dalla maternità. Ed è alla base del famoso gender gap (o differenza di stipendio tra i generi a parità di carriera). Il problema è come sempre culturale. Diventare madre rientra nell’autodeterminazione della persona, non può causare discriminazione. Inoltre una nuova nascita è di impatto e ricchezza per lo Stato. Mica per niente i Governi di qualsiasi colore lanciano l’allarme sulle culle vuote. Tutto questo si scorna però con la realtà. Si dice che la legge debba essere generale ma forse questo è uno dei casi dove non lo dovrebbe essere. In un mondo del lavoro variegato va tutelato chi parte svantaggiato: occorre far incontrare le donne e le piccole imprese e rendere stabili sul terreno precario del diritto al lavoro. Bisogna inoltre pareggiare i ruoli tra i generi: se ogni faccenda riguardante i figli è demandata alla madre è chiaro che la dipendente non potrà offrire continuità e stabilità pari ad un uomo. Qui siamo noi singoli a dover cambiare, tra le mura domestiche. Equiparando i generi a livello genitoriale, come presenza e come assenza, la differenza si assottiglia e così anche il rischio di impresa. Che non deve più essere scaricato interamente sulle scelte delle donne. Deve pensarci lo Stato trovando una sinergia con le imprese. Solo così le culle torneranno piene. Magari in rosa.